In un processo che si sta celebrando per femminicidio – e in molti altri del passato – i figli, interpellati dalla magistratura circa i rapporti del padre con la madre, ammettono che, “si, qualche volta mio padre picchiava mia madre.” Lo ammettono con serena incoscienza, parlandone come di un qualcosa che doveva essere risolto all’ interno della coppia e che “non li riguardava.”
Il rapporto marito – moglie è un qualcosa nel quale “…non bisogna entrare.” Se la sbrighino loro.
I maltrattamento familiari sono quasi sempre una premessa di omicidi, almeno potenziali, e se, anche non lo sono, prefigurano comunque un rapporto di violenta prevaricazione che troppo spesso viene liquidato con un “sono fatti loro.”
“A mio padre a volte è scappato qualche schiaffo dato a mamma ma niente di che…” ( finchè non l’ammazza) Queste affermazioni tranquille e minimizzanti nascondono una ferocia atavica: l’idea che il maschio di casa “possegga” la donna e possa avere ragione della compagna anche con la violenza. “Che sarà mai, al massimo uno schiaffo, uno spintone: violenza vera, no, mai!”
Cosa si intende per violenza vera? Un omicidio?
E “finchè non ci scappa il morto”, molti pensano che sono cose che gli interessati devono vedere “tra loro.” Oppure – anche questa è la deposizione di un figlio di una donna uccisa, “Papà con mamma era violento, ma solo verbalmente.” Solo! Questa accettazione quasi filosofica della violenza fisica (o verbale) verso la propria madre, o sorella, o fratello (non dimentichiamo i figli aggrediti in casa perché non sono – o non vestono – come un genitore vorrebbe) vengono vissuti , dai consanguinei , con indifferenza, come fossero questioni personali nelle quali è giusto, comunque, non immischiarsi ( per dare aiuto, per ammonire il violento o per dare sostegno alla vittima). Sono fatti privati e, come tali, considerati normali, quasi ineluttabili e nei quali non è bene immischiarsi. Da tenere ben nascosti nel chiuso della famiglia. Che in un rapporto , in un qualsiasi rapporto familiare, siano ammissibili la violenza e la prevaricazione sull’altro.
“Lo sai com’è fatto, sei stata tu a provocarlo.” Spesso è, purtroppo, considerato normale. Per la famiglia questa sopportazione è ” il male minore”. Il male maggiore è che ” si sappia fuori” – dalla cerchia familiare di questi episodi di violenza: e non la violenza stessa! – Spesso, la violenza è addirittura vista come una ineluttabile conseguenza di una lite, o perfino, un modo drastico ma ” giusto”, per costringere il soggetto a fare ciò che si vuole. Fin da bambini bisogna invece insegnare che il ricorso alla violenza è proibito. Che non si usano le mani per nessun motivo e, tanto meno, per sopraffare chi è più debole o per avere ragione. Fin da piccoli – fin dalle liti tra fratelli per un giocattolo – la famiglia deve educare al rispetto dell’ altro. Liti tra fratelli, liti tra coniugi, non si risolvono picchiando l’altro.
Fa scalpore la moglie uccisa dal marito, tutti la piangono, ma prima, la famiglia di lei (che spesso era a conoscenza delle condizioni di vita della sventurata) taceva e la invitava “…ad avere pazienza”. I maltrattamenti in famiglia non sono “cosa che possono succedere ” e nelle quali non intervenire “per discrezione, tanto sono adulti ” ma realtà inammissibili alle quali opporsi con ogni mezzo. Per coscienza prima ancora che per affetto. “La famiglia sapeva”, mi disse una volta un giudice in un processo di femminicidio -“ma aveva invitato la vittima a sopportare “. Non si deve sopportare, nè si deve dare per scontato che in un rapporto – un qualsiasi rapporto – sia normale venire alle mani.
Il maltrattamento familiare, per me, non è solo quello “attivo” (del coniuge che picchia, del padre che malmena, del fratello che insulta la sorella): esistono anche i maltrattamenti familiari passivi, altrettanto colpevoli.
Sono quelli dati dai silenzi di chi sa, chi vede i lividi, chi ascolta gli sfoghi e non dà aiuto nè solidarietà alla vittima, non le sta a fianco convincendola a denunciare, anzi, la invita “a subire le botte” per un malinteso senso di unione familiare. O a non separarsi ” perché chissà che dirà la gente” o “per i figli”
Quegli stessi figli che respirando un clima avvelenato dalla violenza, verranno segnati a vita da esperienze di aggressività se non di morte. Spesso, la famiglia, non è purtroppo, un luogo dove trovare comprensione, difesa e solidarietà, anzi! Non a caso è nata bon’t worry.
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